Variazioni Goldberg, il mito

Il titolo Variazioni Goldberg è dovuto a un aneddoto raccontato nel 1802 da Nikolaus Forkel, primo biografo di Johann Sebastian Bach. Secondo Forkel, l’Aria con diverse variazioni per clavicembalo a due manuali (titolo originale), era stata commissionata a Bach da un nobiluomo di Dresda, il conte Hermann Carl von Keyserlingk, che soffriva di insonnia e che alleviava la noia delle notti in bianco ascoltando pezzi per clavicembalo suonati dal giovane talento Johann Cottlieb Goldberg, ex allievo del figlio maggiore di Bach, Wilhelm Friedemann, ed allievo di Bach nel 1742 e nel 1743. La variazione non è una forma ma un genere, e sebbene siano esistite alcune tipologie tradizionali di cui i compositori si servivano per dare forma all’insieme, si può affermare che ogni grande serie di variazioni è strutturata in un modo unico, irripetibile. L’opera è formata da un’Aria, 30 variazioni sull’armonia della stessa e un’Aria da capo. Le trenta variazioni delle Goldberg (il 30 – 10 x 3 – è il numero della pienezza e della perfezione) sono suddivise in dieci gruppi di tre forme musicali: la forma Danza, la forma toccata, e un canone.

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Quodlibet“. Licensed under Public Domain via Wikimedia Commons.

«In cattiva salute, il Conte soffriva sovente d’insonnia, e Goldberg che viveva in casa sua doveva distrarlo, in simili occasioni, durante le ore notturne, suonando per lui in una stanza attigua alla sua. Una volta il Conte disse a Bach che gli sarebbe molto piaciuto avere da lui alcuni pezzi da far suonare al suo Goldberg, che fossero insieme delicati e spiritosi, così da poter distrarre le sue notti insonni. […] Bach concluse che il miglior modo per accontentare questo desiderio fosse scrivere delle Variazioni, un genere che fino allora non aveva considerato con molto favore per via dell’armonia di base, sempre uguale. Sotto le sue mani, anche queste Variazioni divennero modelli assoluti dell’arte, come tutte le sue opere di quest’epoca. Il Conte prese a chiamarle, da allora, le “sue” Variazioni. Non si stancò mai di ascoltarle e, per lungo tempo, quando gli capitava una notte insonne, chiamava: “Caro Goldberg, suonami un po’ le mie Variazioni“. Mai Bach fu ricompensato tanto per un’opera come in questo caso: il Conte gli diede in dono un calice pieno di 100 Luigi d’oro. Ma tale opera d’arte non sarebbe stata pagata adeguatamente nemmeno se il premio fosse stato mille volte più grande» . (J. N. Forkel)

f0820129e32b5a369c1d2ee6168c87549d034ac0Alcuni musicologi non concordano con questo racconto tramandato da Forkel, innanzitutto perché Bach compose le Variazioni nel 1741 e furono edite nel 1742 senza alcuna dedica, richiesta dal protocollo settecentesco. Dubitano inoltre che un ragazzo di quindici anni, quale era Goldberg nel 1742, possedesse, per quanto prodigioso fosse, la tecnica necessaria per l’esecuzione di questa composizione. Gli indizi indicherebbero che le cosiddette Variazioni Goldberg non nacquero come lavoro su commissione indipendente, ma fecero parte fin dall’inizio del progetto della Clavier-Übung (composizioni per strumento a tastiera), di cui costituiscono un grandioso finale. Tuttavia, la mancanza di una dedica a Keyserling appare il segno di un’amicizia tanto stretta, da non richiedere ostentazioni formali. Per i tedeschi, per i quali Gold-Berg significa “montagna d’oro”, il titolo apocrifo diventa persino simbolico: Variazioni della montagna d’oro.
Per tutto l’Ottocento non abbiamo notizie certe di esecuzioni integrali, le prime complete risalgono alla prima metà del Novecento. Nel 1950, bicentenario della morte di Bach, veniva però posto con forza il problema dello strumento originale, il clavicembalo con due tastiere. Bach indica, in ciascuna delle variazioni, se debba essere impiegata una sola tastiera o se ne debbano essere impiegate due. Il trasferimento delle Goldberg al pianoforte comportava non lievi problemi di tecnica, tuttavia risolvibili, e insolubili problemi di timbrica. L’esecuzione al pianoforte, che era sicuramente non-autentica, venne però “salvata” dalla genialità del pianista-compositore canadese Glenn Gould, autore nel 1955 di una celeberrima registrazione discografica.

Gould possedeva una tecnica formidabile, coadiuvata dall’assunzione di una postura anomala per suonare il pianoforte, ovvero estremamente bassa rispetto allo strumento. Ma lo studio intorno alle opere di Bach lo ha portato anche alla ricerca di un tocco tutto personale del pianoforte, un approccio inconfondibile al tasto dello strumento. Tale fu la sua portata innovativa, che nel 1983 lo scrittore austriaco Thomas Bernhard scrisse un romanzo semi- autobiografico, inserendo il pianista canadese nell’intreccio della sua storia: Il soccombente. Il libro tratta del fittizio rapporto tra Glenn Gould e due suoi giovani compagni di studio al Mozarteum di Salisburgo negli anni cinquanta. È raccontato in prima persona dal narratore, il quale partito da Madrid, sta scrivendo un saggio sul pianista canadese Glenn Gould – «il più importante virtuoso del pianoforte del secolo» – per recarsi in Austria, avendo ricevuto un telegramma che lo informa dei funerali del suo amico Wertheimer, morto suicida. Il narratore, Wertheimer e lo stesso Glenn Gould si erano conosciuti ventotto anni prima a Salisburgo, quando erano tre giovani pianisti, a un corso di perfezionamento tenuto da Horowitz. Fu subito evidente che Glenn Gould era il più geniale, «qualcuno che non brilla, non promette, poiché è». Per effetto della superiorità di questo genio, il narratore (di cui non conosciamo il nome) e Wertheimer abbandonano i propri strumenti, così come i loro studi musicali e, mentre il primo si trasforma, come egli stesso si definisce, in un «artista della concezione del mondo», in un critico del suo tempo e, in particolare, in un critico dell’Austria; il secondo cade in un’irreversibile depressione esistenziale, si dedica agli studi filosofici, alle cosiddette scienze dello spirito, senza trarne beneficio, accrescendo anzi la sua amarezza, si isola con la sorella e quando questa lo lascia per sposarsi un ricco industriale svizzero, egli decide di impiccarsi, proprio a cento passi dalla casa della coppia.

Thomas Bernhard

Thomas Bernhard

Dagli anni settanta si fece tuttavia strada la convinzione che l’impiego del clavicembalo con due manuali garantiva sì l’autenticità filologica, ma non l’autenticità sociologica, perché l’esecuzione per un numeroso pubblico era del tutto al di fuori delle prospettive e delle intenzioni di Bach. Il pianoforte, con la sua massa di suono molto maggiore e con la sua tradizione concertistica, era dunque più efficace in una grande sala. E da circa trent’anni le esecuzioni pubbliche al pianoforte sono ridiventate usuali, mentre le esecuzioni al clavicembalo avvengono quasi esclusivamente in sede discografica.

a cura di Cristina Tacconi

Fonti principali consultate per la stesura dell’articolo

http://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Goldberg988.html
http://uac.bondeno.com/afenice/data06/soccombente.pdf
http://www.panorama.it/musica/variazioni-goldberg-glenn-gould-nazzareno-carusi/
http://cogitoetvolo.it/le-variazioni-goldberg-bach-gould/
http://www.bachmusicacademy.it/1/la_matematica_e_il_sublime_bach_i_canoni_delle_variazioni_goldberg_1428647.html

 

 

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