Firenze – Cango, Cantieri Goldonetta

Cango, Cantieri Goldonetta: un nome che riassume la storia di un luogo che, nato come sala da ballo del più ampio complesso Goldoni, nel corso degli anni ha subito numerose trasformazioni. Il termine “cantiere”, più che evocare la non finitezza di un luogo tende a focalizzare l’attenzione sul movimento continuo, sull’evoluzione costante tesa a cambiare lo spazio preesistente. Oggi Cango, residenza artistica della Compagnia Virgilio Sieni, dà lustro a tale definizione ancestrale del termine attraverso una produzione artistica fondata su una ricerca continua, basata sul concetto di interdisciplinarità performativa in cui la danza s’interseca con il teatro, con la musica, con le arti visive. Una destinazione che prosegue in maniera quasi elettiva la storia di uno spazio che è stato testimone delle più importanti sperimentazioni che hanno ridefinito e rifondato l’arte performativa.

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Teatro Goldoni
Progettato dall’architetto fiorentino Giuseppe del Rosso, il Teatro Goldoni fu edificato ai primi dell’ottocento, su proposta dell’imprenditore Luigi Gargani. Con un’estensione che ingloba via Romana, via S. Maria e via dei Serragli, il Goldoni nasce già come un teatro per certi versi all’avanguardia: spazio coperto e contigua arena a cielo aperto, per un totale di 1500 spettatori. Inaugurato il 7 aprile del 1817 in nome del grande commediografo cui era dedicato con Il burbero benefico, cui segue il balletto La figlia malcustodita di Jean Dauverbal, già nel settembre dello stesso anno si vota alla musica ospitando la prima “accademia” del pianista Franz Schoberlechner insieme al tenore livornese Nicola Tacchinardi e all’oboista Egisto Mosell. La vicinanza a palazzo Pitti fece sì che il Goldoni venisse sin da subito considerato come il teatro di corte, in cui il granduca aveva un proprio palco personale.
In seguito alla scomparsa della corte lorenese, l’avvento del Regno d’Italia e le alterne vicende che caratterizzarono il periodo di Firenze capitale, lo spazio ebbe un temporaneo decadimento, fino al 1875, quando venne inaugurato una seconda volta con la messa in scena de L’italiana in Algeri di Rossini.
Nei primi anni del Novecento, l’arena Goldoni – il saloncino da ballo – fu dato in gestione agli eredi dello scultore Pio Fedi, il cui studio aveva sede nelle sue adiacenze, via dei Serragli 99, angolo via Santa Maria.

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Edward Gordon Craig
Nel 1908 lo spazio fu preso in affitto da Edward Gordon Craig, uno dei padri fondatori della rivoluzione teatrale novecentesca. Craig fa parte di quella schiera di innovatori che lungo i primi decenni del secolo scorso contribuirono a una totale ridefinizione dell’arte del teatro. Scenografo, scrittore, editore, attore per un breve periodo, Craig mette in atto una riflessione estetica sulla pratica teatrale, contribuendo a rifondare lo stesso concetto di regia, intesa non più come una prassi empirica che vede l’interprete subordinato al suo “direttore”, ma propugna le basi – teoriche e pratiche – di un principio estetico posto a fondamento unitario dei vari elementi dello spettacolo.
Il primo incontro tra Craig e Firenze avviene nel 1906, quando Eleonora Duse gli affida la realizzazione delle scenografie del Rosmersholm di Ibsen per il Teatro della Pergola. Il valore emblematico di questo allestimento va oltre l’occasionale rottura con gli schemi della tradizione naturalistica: c’è l’inizio di un fecondo periodo di realizzazioni, esperimenti, concettualizzazioni che s’intersecano in maniera attiva e costante con il capoluogo toscano. Quasi tutti i saggi sulla teoria del teatro che Craig pubblicherà nei primi volumi della rivista “The Mask”, poi confluiti nel fondamentale testo teorico On the Art of the Theatre del 1911, videro la luce durante il 1907 a Firenze: la rifondazione del teatro pauperista si alimentò, dunque, delle “pittoresche” suggestioni della patria della prospettiva lineare, di quella città che è come «a stage mounted with scenes of loveliness». Nel corso degli stessi anni Craig, ormai trasferitosi a Firenze, dà avvio a una produzione grafica e xilografica che si lega a un lavoro di ricerca in ambito scenografico: gli screens le mille scene in una. Quella creata da Craig era una scena tridimensionale che consentiva infinite possibilità di movimento: rigorose strutture, compatte e pur mutevoli, un incrocio di forme verticali e di luci.
Nel settembre del 1908 Craig affitta i locali dell’arena Goldoni, in cui ha anche sede quel teatro-laboratorio, dove, pur non mettendo in scena nulla, verificò e montò gli screens, in particolare quelli che avrebbero dovuto far parte della scenografia dell’Hamlet per il Teatro d’Arte di Mosca di Stanislavskij.

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Craig’s design (1908) for Hamlet 1-2 at Moscow Art Theatre” di Edward Gordon Craig – Christopher Innes, Edward Gordon Craig, ISBN 0521273838.. Con licenza Pubblico dominio tramite Wikimedia Commons.

Il progetto della Scuola di Arte del Teatro ha una forte valenza interdisciplinare e si pone come obiettivo precipuo quello di concretizzare attivamente le molteplici teorizzazioni a cui Craig aveva dato forma in questi anni. L’intento era quello di esercitare un’influenza viva sull’arte del presente; il lavoro del laboratorio di ricerca teatrale, infatti, si lega a quello teorico della rivista “The Mask”, la cui redazione ha sede sempre all’Arena Goldoni di Firenze (anche se la redazione effettiva si spostò varie volte prima di fermarsi definitivamente in un appartamento di fronte all’Arena in via dei Serragli 108).

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La prima guerra mondiale interruppe i finanziamenti e quindi le pubblicazioni di “The Mask”, ponendo fine alla prima serie della rivista (che riprenderà nel 1917 in forma alquanto ridotta). Allo stesso modo naufraga la Scuola di Arte del Teatro che segue le sorti dell’arena, sequestrata dall’esercito.
In seguito alla requisizione da parte dell’autorità militare lo spazio dell’arena Goldoni manterrà la sola funzione di deposito fino al 1946, anno in cui diventa di proprietà comunale e assume anche la funzione di centro di ricovero per gli sfollati.

Tadeusz Kantor
Lo spazio del saloncino ritorna a essere luogo di sperimentazione teatrale nel 1979, quando Franco Camarlinghi, allora assessore alla cultura del Comune di Firenze, colse la suggestione del regista polacco Tadeusz Kantor di voler tentare un’esperienza produttiva nella città. Nel 1978, solo un anno prima, il capoluogo toscano era stato affascinato dalla visione de La classe morta, messo in scena al Rondò di Bacco con l’organizzazione di Andrés Neumann. Grazie proprio all’intermediazione di Neumann, il progetto divenne realtà nel novembre del 1979. L’idea di base dell’assessorato alla cultura del Comune, e del Teatro Regionale Toscano partner dell’iniziativa, era quella di attrarre personalità di rilievo della cultura internazionale e creare produzioni, esperienze e relazioni stabili che fossero in grado di far crescere anche le realtà locali.

Foto di Antonio Sferlazzo -  Concessione della Fondazione Teatro della Toscana (1)

Foto di Antonio Sferlazzo – Concessione della Fondazione Teatro della Toscana

La scelta del luogo non fu casuale, occorreva trovare un posto che non richiamasse nella sua stessa struttura fisica l’esperienza teatrale convenzionale: lo spazio di via S. Maria, forte delle sue già mutevoli trasformazioni, era perfetto, e per Kantor divenne evocazione di un ideale terreno di confine tra la vita e la morte. Il progetto diede i natali allo spettacolo Wiepole Wiepole, le cui prove durarono dal novembre del 1979 al 20 giugno 1980, data della prima.
Nella produzione teatrale di Kantor l’esperienza fiorentina di Wielopole Wielopole costituisce una sorta di spartiacque: per la prima volta egli è l’autore anche del testo dello spettacolo, oltre che regista e scenografo. Fino a questo momento, Kantor aveva utilizzato le opere di Witckiewicz come punto di partenza da decostruire e riassemblare secondo la sua ideale concezione dello spettacolo. A partire da Wielopole Wielopole e da Firenze, Kantor elabora un concetto di realtà ancora più dissacrante, iniziando un’indagine sempre più drammatica che si radica nella propria realtà personale e familiare – la Wielopole, evocata due volte nel titolo, oltre a significare “molti campi” in polacco, è anche il paese natale del regista.

Foto di Antonio Sferlazzo -  Concessione della Fondazione Teatro della Toscana

Foto di Antonio Sferlazzo – Concessione della Fondazione Teatro della Toscana

Foto di Antonio Sferlazzo -  Concessione della Fondazione Teatro della Toscana

Foto di Antonio Sferlazzo – Concessione della Fondazione Teatro della Toscana

QKantoruesto nuovo periodo è preceduto da numerose sperimentazioni, come l’esperienza dei cricotage degli anni Settanta: intersezione di forme brevi che a differenza degli happenings si fondano su una strutturazione più precisa di materiali e azioni. La tentazione di cadere nella rappresentazione mimetica del reale è allontanata da un’enfasi maggiore circa la deformazione degli oggetti: l’oggetto reale, estratto dalla vita concreta e banale, come un oggetto “ready made” alla Duchamp, assume diverse funzioni e significato. Ad esempio, in Wielopole Wielopole una croce cattolica, accessorio per il personaggio del prete, diventa il simbolo della storia e del martirio della Polonia.
Le reazioni del pubblico furono esaltanti, così come quelle dei critici: tutta la stampa italiana e internazionale era presente in sala. Già con La classe morta, Kantor si era imposto allo scenario mondiale, ma Wiepole Wiepole, a oggi, è considerato uno spettacolo ancora più importante, soprattutto per il pubblico polacco che in esso riconosceva parte della propria identità socioculturale. Dopo Firenze, lo spettacolo ebbe una massiccia opera di distribuzione: Edimburgo, Londra, Parigi, Cracovia, Varsavia, Danzica.
Nelle iniziali intenzioni del Comune di Firenze, lo spazio di via S. Maria avrebbe dovuto ospitare il progetto Cricoteka, ovvero una riproduzione parallela a quella di Cracovia dei materiali teatrali degli spettacoli del Cricot 2. Dopo le elezioni amministrative del 1980, però, Franco Camarlinghi lascia l’assessorato alla cultura e il suo successore porta avanti altri orientamenti anche a proposito dell’uso dello spazio.

Bottega teatrale di Firenze
Nel corso della fine del 1980, lo spazio di via S. Maria diviene, per concessione del Comune fiorentino, la Bottega teatrale di Firenze una scuola di recitazione diretta da Vittorio Gassman. L’idea della fondazione della scuola nasce dalla volontà dell’istrionico attore di far fronte a una preoccupazione oggettiva, ovvero la carenza di strutture pedagogiche in Italia. Come afferma lo stesso Gassman, nella sua autobiografia Un grande avvenire dietro le spalle, però, in quel progetto c’era anche qualcosa di più: un bisogno di trovare nuovi “figli in arte”. La linea pedagogica dell’attore virava infatti secondo modalità più amichevoli che professionali. L’urgenza pedagogica che Gassman si prometteva di trasmettere si radicava in quasi quarant’anni di esperienza attoriale e di riflessione sul significato e sul rischio della vocazione teatrale. La parola usata più frequentemente dall’attore divenuto insegnante è “malattia”, quella febbre che anima e scuote l’essenza del mestiere; ma la condivisione dello stato febbrile esperienziale non tende all’eliminazione del fuoco istrionico, bensì alla sua alimentazione, allo sfruttamento dell’irrazionale virulenza. Il primo corso di studi si conclude con lo spettacolo didattico Fa male, il teatro di Luciano Codignola con la supervisione di Vittorio e Paola Gassman.
Moltissimi dei nomi più importanti del teatro italiano e mondiale furono impegnati come insegnanti nei vari corsi o seminari in cui era suddivisa la scuola: Giorgio Albertazzi, Orazio Costa, Jeanne Moreau, Eduardo De Filippo, Tadeusz Kantor, Jerzy Grotowski e molti altri.
Nel 1988, a causa dei lavori di ristrutturazione promossi dal Comune di Firenze, la Bottega dovette abbondonare la sua sede di via Santa Maria 25; in seguito, venuto a mancare il sostegno comunale, dopo vari spostamenti, la scuola chiude definitivamente i battenti nel 1996.

I Cantieri Goldonetta  (Cango) a Firenze

I Cantieri Goldonetta (Cango) a Firenze

Gli ultimi sviluppi: riapertura del Goldoni e CanGo
I lavori di ristrutturazione dello spazio si interrompono nel 1991 per mancanza di fondi. Parallelamente lo spazio del contiguo Teatro Goldoni conclude i lavori di ripristino, e nel 1998 inaugura la sua riapertura con la messa in scena dell’Orfeo di Monteverdi per la regia di Luca Ronconi, coincidendo con i festeggiamenti per il quarto centenario del melodramma.
Il lavori di restauro del saloncino riprendono invece nel 2001 per concludersi nel 2003, quando l’amministrazione comunale, su proposta dell’assessore alla cultura del Comune di Firenze, decide di destinare il saloncino Goldoni a «Centro per la danza di rilievo nazionale ed internazionale, aperto al confronto con altre esperienze artistiche contemporanee». L’incarico è stato ottenuto dalla Compagnia Virgilio Sieni che ha elaborato il progetto «Cantieri Goldonetta, Firenze Teatri della danza» con lo scopo di creare un centro artistico che si ponesse come crocevia dell’intersecarsi delle arti performative contemporanee. Virgilio Sieni ha seguito e orientato i lavori di restauro dello spazio in accordo con il progetto artistico di base e con le esigenze funzionali al tipo di programmazione prevista.

a cura di Francesca Gennuso


Fonti

E.G. Craig, Il mio teatro, Milano, Feltrinelli, 1971;
Gordon Craig in Italia, atti del convegno internazionale di studi, Campi Bisenzio, 27-29 gennaio 1989, Roma, Bulzoni, 1993;
A. Mazzanti, «The whole city is a stage mounted with scenes of loveliness», in Arti visive, conservazione e restauro, n.109 (2013), pp. 31-42;
V. Valoriani (a cura di), Kantor a Firenze, Corazzano (Pi), Titivillius editore, 2002;
V. Gassman, Un grande avvenire dietro le spalle, Milano, Longanesi, 1981;
V. Sieni, Cantieri Goldonetta Firenze: teatri della danza: progetto di residenza, Comune di Firenze, Assessorato alla Cultura, 2001;
F. Roiter, Firenze Teatro, Comune di Firenze, Edizioni grafiche Vianello, 1990;
L. Artusi, Luoghi di spettacolo a Firenze dal Rinascimento all’Ottocento, Firenze, Semper, 2002.